Lo scorso luglio, proprio sulle colonne di questa pagina Diritto & Famiglia, ebbi modo di constatare quanto spaventosi fossero i numeri della violenza familiare e di genere.
In quella occasione, denunziai la vergognosa arretratezza dei dati registrati dall’ISTAT, fermi addirittura al 2006, segno evidente di un disinteresse istituzionale inspiegabile verso il fenomeno.
A distanza di un anno ci ha pensato l’Eu.r.e.s. a diffondere un rapporto relativo agli omicidi di donne in Italia per l’anno 2013.
I numeri sono agghiaccianti: 179 vittime, con un aumento generale del 14% rispetto all’anno precedente.
Nella statistica rientrano in effetti anche i delitti commessi durate atti di criminalità comune (28) di cui la maggior parte rapine, che vedono soccombere soprattutto donne anziane.
Resta però il fatto che ben il 68,2% degli omicidi totali si sono consumati all’interno del contesto familiare, lì dove gli affetti dovrebbero garantire protezione e cura.
Nel 66,4% di tali casi, il carnefice è stato il partner, attuale o ex, anche se un nuovo fenomeno inquietante si sta affacciando all’orizzonte della rilevazione statistica: il matricidio.
Pare infatti che la crisi economica e sociale, costringendo i figli ad un innaturale prolungamento delle convivenze, in qualche modo induca anche una esasperazione letale dei rapporti familiari, tanto da indurre il 18,9% dei delitti commessi contro la madre. Un aumento del 3,7% rispetto agli anni precedenti.
Nel rapporto citato si possono reperire altri dati interessanti, ma ciò per i nostri fini non è indispensabile: quelli citati costituiscono già materiale più che sufficiente per una seria riflessione.
I miei lettori sanno bene quanto io non ami le generalizzazioni, e quanto di solito rifugga dai luoghi comuni che inducono a valutazioni sempre più o meno sottilmente condizionate dalle fonti delle notizie.
I media sono solitamente restii a fornire dati “secchi”, preferendo invece disporli e presentarli al lettore in modo da confermare questa o quella tesi preconfezionata che l’articolista vuole sostenere.
Ad esempio, a mio avviso diffondere i soli dati relativi agli omicidi di donne è un modo non corretto di evidenziare il dramma in atto.
Per consentire ai fruitori dell’informazione una valutazione realmente libera da preconcetti occorrerebbe diffondere statistiche su tutti gli omicidi e su tutte le violenze occorse in ambito familiare, ivi comprese quelle sui minori, sugli anziani e sugli uomini.
Perché vedete, a mio avviso il vero dramma di questa epoca non è il “femminicidio” (termine detestabile e discriminatorio) ma la violenza in sé, soprattutto quando esercitata in ambito familiare proprio per la sua particolarissima ed anzi unica natura di “culla di affetti ed identità”.
La mia tesi è che “parcellizzare” la denunzia del fenomeno di fatto lo sminuisca, lo indebolisca, lo isoli.
Che una donna sia malmenata, violentata, sfigurata, non è un problema di genere, è un problema di tutti, e solo con una profonda e condivisa presa di coscienza si può affrontare con successo.
Ridurre la lotta al sopruso ed alla sopraffazione ad una questione di donne, significa marginalizzarla, sminuirla, isolarla da un contesto ampio e reale; significa solitudine e debolezza.
Facendone una questione solo femminile, si finisce col rinchiuderla in una dimensione limitata, dove solo alle donne è chiesto di intervenire e cambiare.
Il che, francamente, è inaccettabile.
La violenza offende la coscienza di chiunque, senza limiti di età, sesso, colore della pelle.
La violenza uccide tutti indistintamente, e tanto è più orribile perché è sempre vile, perché sempre colpisce chi, nella sua condizione di vittima, è più debole.
Non è un problema delle donne. No.
E’ un problema mio, tuo che leggi, nostro, di tutti! Non si vince con ghetti culturali, ma con la condivisione di valori, con la diffusione di sensibilità, con il sostegno forte e duraturo di tutti e di ognuno.
Altrimenti le singole declinazioni della sopraffazione, che possiamo chiamare via via femminicidio, bullismo, omofobia, razzismo, integralismo, ma che sono sempre e solo la stessa cosa, avranno modo di dividerci, di indebolirci, di lasciarci soli a combattere.
Questo non può e non deve accadere, pena la definitiva frantumazione della nostra residua umanità.
Siamo tutti troppo soli, e questo ci rende deboli. Quando lo capiremo?
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