domenica 20 luglio 2014

Il divorzio politicamente scorretto


Mi sono imbattuto, quasi per caso, in un articolo apparso sul sito del Corriere della Sera, relativo al lavoro della dott.ssa Simona Rivolta, psicologa milanese, che ha dato alle stampe il volume "La nostra famiglia da qui in poi. Affrontare la separazione senza smettere di fare i genitori", con la Bur Edizioni.

In particolare, la dott.ssa Rivolta scrive : "Il mito del buon divorzio è, appunto, un mito. Per i figli la separazione dei genitori è un trauma, anche quando ci si separa con tutte le attenzioni del caso. È bene metterselo in testa".
E poi, mostrando davvero un coraggio inusuale in questi tempi di conformismo e populismo imperante: "La maggior parte delle coppie che incontro chiede come non far stare male i figli. La risposta è una, anche se semplicistica e poco rispettosa: non ci si separa.Se questo avviene, bisogna essere preparati a certi comportamenti dei figli, non catalogarli come preoccupanti".

Considerazioni straordinarie nella loro "normalità". Sono cose che sappiamo tutti, in realtà. Che abbiamo sempre saputo, ma che abbiamo voluto dimenticare e nascondere.

Tutto questo per me, che da più di tre decadi mi occupo di questioni familiari, ha il sapore di una rivoluzione. 
In tutto il corso della mia professione ho accompagnato un numero impressionante di coppie nel proprio percorso di riconfigurazione familiare. Non sono mai riuscito a scrollarmi di dosso la sensazione di affacciarmi in un inutile ed irreparabile baratro di dolore. 

Tutto questo, mentre i media, unanimemente, si trastullavano con immagini giulive di famiglie allargate, di genitorialità alternative, e di tante altre varie amenità, nascondendo o mistificando sistematicamente problemi gravissimi quali l'impoverimento di coniugi gravati da mantenimenti insostenibili perfino per l'INPS, la deresponsabilizzazione genitoriale sistematica a danno dei figli, la desertificazione culturale della famiglia (intesa come nucleo affettivo fondante per l'individuo e la comunità) e l'assenza totale di strumenti istituzionali di supporto e difesa. Il tutto, con il crescere di violenze ed abusi, a mio avviso strettamente connessi al crescere del disagio relazionale di cui nessuno è capace di prendersi carico.

Esiste un incredibile meccanismo giudiziario che sui divorzi vive. Consulenti, avvocati, associazioni e tribunali, hanno drenato (e drenano) ricchezze e potere. 
Ma di divorzio si muore, sia quando si uccide per davvero, si aggredisce, si sfigura con l'acido; sia quando si vede la propria vita schiacciata e deformata; sia quando i nostri figli lo subiscono come un evento traumatico indelebile, che da quel momento in poi li cambia in modo permanente.

Non predico la restaurazione ante-1975, non immagino un referendum antidivorzista.

Mi piacerebbe però che, quantomeno, si smettesse di affrontare la questione familiare come fosse solo un divertente fenomeno di costume, e non invece una pur fisiologica questione centrale sia per gli individui che per la società. Che si smettesse di specularci sopra, facendone argomento per rastrellare voti, denari, influenza e notorietà. Che si finisse di alimentare rabbia, rancore, solitudine e sofferenza in una comunità già tanto provata dalla crisi economica, com'è la nostra.
Mi piacerebbe che si iniziasse a farne oggetto onesto di riflessione, cominciando con l'ammettere ora, subito, che così non si può più andare avanti.

Illusioni?

giovedì 10 luglio 2014

I 3 grandi errori da evitare nella scelta dell'avvocato

Si sa, purtroppo nella vita prima o poi toccano a tutti delle disgrazie.

Si prova a tenersene lontani con scongiuri, con grandi e piccole scaramanzie, con offerte agli Dei e tattiche dilatorie… ma inevitabilmente arriva per ognuno il maledetto giorno in cui ci si rende conto di aver bisogno di un avvocato!

Del resto, mica potete pensare che i guai capitino sempre agli altri, no?

Ebbene, datemi retta: quando quel momento arriva, è meglio premunirsi per evitare ulteriori drammi. Già è orribile il pensiero di doversi recare da questa figura mitologica a metà fra un serpente piumato ed un licantropo… cerchiamo almeno di non commettere ulteriori errori.

Ce ne sono tre, più consueti:

1) Mi serve un avvocato bastardo, così distruggo l’avversario.
Sfatiamo un mito, amici miei. Gli avvocati “bastardi” di solito lo sono sempre, non solo quando fa piacere a voi. In altre parole sono innanzi tutto “bastardi dentro”. Se non hanno scrupoli con l’avversario state tranquilli che non ne avranno nemmeno con voi, ed anzi, è molto probabile che proprio voi sarete le loro prime, spesso uniche, vittime. Dovete sapere infatti che di solito tali colleghi “ringhianti” sono ben conosciuti nell’ambiente, sia dagli altri avvocati che dai giudici, e per questo ampiamente disistimati ed ostacolati. Raramente riescono a sortire risultati positivi. Tranne che a loro favore, naturalmente, facendosi pagare fior di parcelle.


2) Mi occorre un avvocato bravo, quindi vado dal migliore.
Ahimé, dovete sapere che “l’avvocato migliore” è una proiezione del nostro desiderio di assistenza. Come tale, però, è solo una illusione. Esistono i grandi studi “di moda", è vero, ma di solito sono tali perché si fanno pagare moltissimo, soprattutto per l’immagine e la struttura. Se vi rivolgete ad uno di questi, è molto probabile che l’incarico sia preso dal suo notissimo titolare (che poi vi presenterà una parcella adeguata al suo nome), ma che il lavoro venga effettivamente svolto da uno dei più giovani di studio. Perciò, meglio è informarsi fra parenti ed amici per individuare un professionista onesto e diligente, di cui si abbia già avuta esperienza e di cui si siano già verificate queste due doti essenziali e decisive. Poi, nel colloquio che avrete con lui, sentirete “a pelle” se potrete fidarvi o meno. Di regola, ciò basterà ampiamente a farvi ottenere ragione, se l’avete.


3) In fondo se ho ragione vincerò comunque, quindi non mi serve un avvocato di fiducia, mi basta quello che si fa pagare di meno.
Eh. Magari fosse così semplice! Partiamo da un dato di fatto: nessuno lavora gratis. Ne voi, ne l’avvocato. Quindi, se lo pagate poco è perché… lavora poco.
La strada opportuna è invece quella che vi fa pagare il giusto in relazione alla qualità dell’impegno che ottenete. E qui affrontiamo il secondo punto: non è detto che “aver ragione” vi consenta di ottenere per ciò solo un giudice che ve la riconosca. La verità processuale molto spesso è diversa da quella reale, ed è necessaria una grande collaborazione fra voi ed il vostro legale di fiducia affinché le due verità possano combaciare. Quello che conta davvero in un legale, e che fa la differenza, è l’esperienza, la capacità strategica di saper utilizzare gli strumenti normativi più adatti e tanto, tanto buon senso. Se riuscirete a trovare un avvocato così (ce ne sono, credetemi) sarete sulla buona strada per ottenere risultati accettabili. Ricordate però che pretendere onestà va bene se sarete voi i primi a garantirla, sia nelle informazioni che fornirete che nella ricompensa che riconoscerete.


Insomma: più conoscete il vostro legale, più lo eviterete nel futuro!

lunedì 7 luglio 2014

La giustizia di Paperinik

Ho sempre adorato il papero notturno, alter ego di un malcapitato vittima di zii despoti, nipotini insopportabili, fidanzate volubili e sfortune varie.

In fondo la dimensione del giustiziere fornito di gadget fantascientifici appartiene alla fantasia di ognuno di noi. Chi non vorrebbe poter spiaccicare con un panzer gommato l’auto di quel bruto che ci ostacola il parcheggio?

Chi non godrebbe ad usare una enorme mano a molla per schiaffeggiare il vicino che si ostina ad ardere puzzolentissime braci sul balcone di fianco al nostro, proprio quando il caldo ci costringe a lasciare aperte le finestre?

Quella parte di noi che è preda di rabbie, di rancori, di sensi di rivalsa, vorrebbe esprimere la propria furia distruttiva in ogni modo possibile, appena possibile.

Viviamo in un’epoca in cui il malessere collettivo ed individuale è quotidiano. Siamo tutti insoddisfatti della nostra vita, delle nostre relazioni, e tendiamo solitamente ad addossarne la responsabilità volta per volta agli obiettivi che i media ci propongono.
Possono essere i politici, sempre ladri (beh… ;-)) oppure gli extracomunitari, sempre profittatori, o magari i massoni, perennemente intenti a tramare o i clericali, oscurantisti per definizione.

Via di questo passo, generiamo categorie su categorie; l’importante è che siano nemiche, ostili, responsabili di tutta la nostra sofferenza, di tutti i mali, di tutti i guasti.
Ovviamente gli avvocati non sono da meno: oggettivamente, nella percezione generale, un omicidio di un avvocato non è un reato… e battute, barzellette, motti di spirito ostili non si contano.

Ne cito giusto uno, così, tanto per esempio:
Avvocati : preferiti alle cavie nei laboratori medici perché si riproducono più in fretta, sopprimendoli non si hanno problemi di coscienza, e poi san fare più cose dei topi. (Michael Rafferty)

Probabilmente, se veniamo percepiti con tanto amore e riconoscenza in larga parte del mondo, un po’ di responsabilità l’abbiamo: quanto meno, non siamo stati capaci di evitare che tanti di noi mostrassero meno scrupoli di una medusa killer. 

Eppure nessuno mi toglie dalla mente che le generalizzazioni per categoria, con la loro logica di “giustizialismo alla Paperinik” finiscano per ritorcersi contro gli stessi giustizieri, che, ben contenti di aver deatomizzato con un apposito accrocco ideato da Archimede Pitagorico tutti gli odiati legali, non si accorgono così di aver fatto il gioco di altri e più organizzati profittatori.

Da anni la figura del difensore viene sistematicamente demolita. 

In parte, lo abbiamo detto, dagli stessi appartenenti all’Ordine, che davvero ben poco hanno fatto per imporre ai propri iscritti vere e stringenti norme deontologiche e comportamentali.
In larga parte, però, c’è lo zampino di ben altri figuri.

Con la giustificazione di costi esorbitanti, comportamenti vessatori, parcelle insostenibili ed irresistibile tendenza all’evasione fiscale, associazioni di “consumatori” insieme a legislatori complici, hanno devastato la normativa preesistente, imponendo ai professionisti onesti (perché quelli disonesti trovano comunque il modo di continuare ad esserlo, fregandosene altamente) dapprima retribuzioni ridicole, soprattutto per i giovani, e poi via via sottraendo ambiti di esercizio dell’attività.

Invece di puntare ad una “sanificazione” della professione, facendo in modo che i disonesti, i profittatori, gli incompetenti, venissero espulsi dal sistema, si è preferito mortificare la figura dell’avvocato difensore del cittadino, delegittimandolo, imponendogli una serie di oneri (assicurazioni, aggeggi informatici da acquistare a carissimo prezzo, vincoli di parcella e non avete idea quante altre follie) ed estromettendolo da molti ambiti.

Così il consumatore-cittadino è vendicato. Quegli sporchi truffatori/evasori degli avvocati sono sistemati.

Bene.

Ma ai diritti della gente chi ci pensa? 

Non si sa. Davvero, nessuno lo sa.

venerdì 4 luglio 2014

L'ordinario senso di (in)giustizia

Ebbene si, sono un avvocato...
Lo so, lo so che non è una bella cosa.

Eppure, una volta, tanti anni fa, lo era.
So che vi può risultare davvero difficile crederci ma… lo era.

A quel tempo, si sceglieva di dedicare la propria vita alla rappresentanza dei deboli, di chi subiva ingiustizie, di chi aveva bisogno di essere difeso da soprusi e vessazioni.

A quel tempo, c’era chi poteva scrivere:
"Molte professioni possono farsi col cervello e non col cuore. Ma l'avvocato no. L'avvocato non può essere un puro logico, né un ironico scettico, l'avvocato deve essere prima di tutto un cuore: un altruista, uno che sappia comprendere gli altri uomini e farli vivere in sè, assumere su di sè i loro dolori e sentire come sue le loro ambasce.
L'avvocatura è una professione di comprensione, di dedizione e di carità.
Non credete agli avvocati quando, nei momenti di sconforto, vi dicono che al mondo non c'è giustizia. In fondo al loro cuore essi sono convinti che è vero il contrario, che deve per forza esser vero il contrario: perché sanno dalla loro quotidiana esperienza delle miserie umane, che tutti gli afflitti sperano nella giustizia, che tutti ne sono assetati: e che tutti vedono nella toga il vigile simbolo di questa speranza...
Per questo amiamo la nostra toga: per questo vorremmo che, quando il giorno verrà, sulla nostra bara sia posto questo cencio nero, al quale siamo affezionati perchè sappiamo che esso ha servito a riasciugare qualche lacrima, a risollevare qualche fronte, a reprimere qualche sopruso, e, soprattutto, a ravvivare nei cuori umani la fede, senza la quale la vita non merita di essere vissuta, nella vincente giustizia.
Beati coloro che soffrono per causa di giustizia... ma guai a coloro che fanno soffrire con atto di ingiustizia!
E, notate, di qualunque specie e grado di ingiustizia... perchè accogliere una raccomandazione o una segnalazione, favorire particolarmente un amico a danno di un estraneo o di uno sconosciuto, usare un metro diverso nella valutazione del comportamento, o delle attitudini, o delle necessità degli uomini, è pur questo ingiustizia, è pur questo offesa al prossimo, è pur questo ribellione al comando divino
”.


L’uomo che scriveva queste cose era Piero Calamandrei, morto nel 1956.
Un’altra epoca, un altro mondo.
Per quanto possa sembrare impossibile, però, c’è ancora chi ci crede.
Io la toga non l’ho mai avuta. Me l’hanno fuggevolmente poggiata sulle spalle al momento del giuramento.

Era una toga “di nessuno”, lisa, sporca e di molte taglie più grande. In quel momento, però, una toga più piccola, nuova di zecca e giusta di misura, mi è scesa sul cuore.

E li è rimasta.