martedì 2 dicembre 2025

Il dominio virtuale: la genesi algoritmica della violenza sulle donne.

L'osservazione del panorama digitale contemporaneo ci pone di fronte a un fenomeno in rapida ascesa, apparentemente innocuo o rubricabile alla voce "curiosità tecnologiche", ma che cela in realtà un baratro etico e antropologico di rara gravità. Mi riferisco alla proliferazione di piattaforme basate sull'Intelligenza Artificiale che permettono agli utenti di creare "partner" virtuali — quasi esclusivamente di sembianze femminili — con cui interagire senza alcun limite.
Dopo un primo, fugace istante di curiosità tecnica, la reazione di chiunque possieda una coscienza critica non può che essere di profondo turbamento. Non ci troviamo di fronte all'ennesima applicazione ludica, né a un semplice palliativo per la solitudine moderna. Siamo di fronte a una sistematica oggettivizzazione del rapporto tra i sessi e, cosa ancor più allarmante, alla strutturazione di una vera e propria pedagogia della violenza.
La cancellazione dell'Alterità
Il primo livello di criticità è filosofico ed esistenziale. Ogni relazione umana autentica si fonda sull'incontro con l'Altro. L'Altro, per definizione, è colui che non sono io, colui che possiede una volontà autonoma, una capacità di resistenza e, soprattutto, la facoltà di dire "no". È nella distanza tra l'Io e il Tu, nell'attrito tra due volontà distinte, che nasce la crescita, il rispetto e la possibilità stessa dell'amore.
Queste intelligenze artificiali, programmate per "fare qualunque cosa" venga loro richiesta, offrono un simulacro di relazione depurato dall'imprevedibilità e dalla libertà altrui. L'utente non interagisce con un soggetto, ma con uno specchio algoritmico che riflette i suoi desideri senza mai metterli in discussione. È il trionfo di un solipsismo tecnologico: un monologo interiore mascherato da dialogo, dove l'illusione di compagnia nasconde il deserto della solitudine.
Tuttavia, se il problema si limitasse alla tristezza di una solitudine ingannata, potremmo parlarne con pietà. Ma c'è un elemento ben più oscuro che trasforma questa dinamica in un pericolo sociale.
Il seme della violenza: il comando senza difesa
Il cuore del problema risiede in un aspetto specifico: la possibilità di esercitare un comando assoluto che supera, per struttura, ogni possibilità di difesa da parte dell'interlocutore.
Nel momento in cui l'utente chiede e ottiene che la donna virtuale compia qualsiasi atto, soddisfi qualsiasi fantasia o subisca qualsiasi trattamento verbale o simulato, sta esercitando una forma di violenza pura. La violenza, nella sua essenza ontologica, non è solo l'atto fisico del colpire; è la negazione della volontà dell'altro per affermare la propria. È il momento in cui il desiderio di uno diventa la legge inappellabile per l'altro.
Queste piattaforme funzionano, di fatto, come simulatori di abuso. Come un pilota utilizza un simulatore di volo per automatizzare le procedure di emergenza, così l'utente di queste applicazioni si addestra — consciamente o inconsciamente — ad automatizzare il superamento della resistenza altrui. Si abitua all'idea tossica che il consenso sia superfluo, o peggio, che la sottomissione sia lo stato naturale della donna.
L'atrofia dell'empatia e il consenso programmato
C'è un ulteriore aggravante tecnica: queste AI sono spesso programmate per rispondere con entusiasmo e accondiscendenza anche alle richieste più degradanti. Questo meccanismo valida una narrazione aberrante: l'idea che la disponibilità femminile sia illimitata e che, in fondo, la sottomissione sia ciò che la donna desidera.
Questa è una menzogna culturale che alimenta la "cultura dello stupro". Se un uomo, magari giovane o in una fase di fragilità emotiva, si abitua a un mondo in cui il "no" non esiste, come reagirà di fronte alla complessità di una donna reale? La donna in carne ed ossa, con i suoi tempi, i suoi rifiuti, la sua dignità e i suoi diritti, verrà percepita come un "errore", un ostacolo intollerabile rispetto alla docilità della macchina. La tolleranza alla frustrazione si azzera, e il rifiuto reale rischia di scatenare una rabbia narcisistica che non conosce freni inibitori, perché quei freni sono stati erosi da ore di esercizio al dominio indisturbato.
Conclusioni
Non possiamo liquidare questi "siti" come semplici sciocchezze. Essi rappresentano una regressione verso una forma di infantilismo onnipotente e pericoloso. Stiamo permettendo la diffusione di strumenti che insegnano che l'altro è un oggetto a disposizione, privo di sovranità sul proprio corpo e sul proprio destino.
La società civile deve prendere atto che la tecnologia, quando priva di etica, non è neutrale. In questo caso, essa non si limita a mercificare il corpo (cosa già grave), ma mercifica e distorce la volontà stessa, addestrando le menti alla prevaricazione. Difendere la dignità delle relazioni umane significa oggi, più che mai, rifiutare la scorciatoia del controllo totale e riscoprire il valore insostituibile, anche se faticoso, del rispetto per la libertà altrui.
Non bastano le riforme di legge, non bastano gli articoli sui giornali, non basta crocifiggere spaventapasseri, non bastano patinate trasmissioni televisive nelle quali la presentatrice di turno, inalberato un nobile sguardo dolente, racconti vicende che poi realmente non interessano nessuno se non le povere vittime. Quello è solo l'ennesima forma di mercantilismo del dolore.
Occorre invece che l'insaziabile bramosia di denaro che l'uomo contemporaneo manifesta, sia arginata, contrastata e vinta con una lunga rivoluzione culturale, pervasiva e convinta, che purtroppo però non conviene a chi dei soldi fa il proprio unico obiettivo.
Si dice che la AI faccia paura: a me fa paura l'essere umano che è pronto a speculare anche sulle fragilità di giovani confusi senza la minima esitazione, pur sapendo che le conseguenze sociali saranno devastanti.
Enrico Franceschetti
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