Care amiche ed amici, miei affezionati lettori,
considerando il fatto che questo è il primo post che scrivo dopo la pausa estiva, e che quindi, comprensibilmente, non ci si possa aspettare granché... vi prego di compiere un ulteriore sforzo di tolleranza per accogliere la profonda esigenza interiore che mi induce ad una riflessione intimista:
le avvocate so megli'è Pelè!
Per motivarla, consentitemi di presentarmi: il mio nome è Enrico e di mestiere faccio... l'incudine.
Nato una decina di anni prima del famosissimo '68, mi sono trovato a vivere la mia infanzia quando le metodologie montessoriane non erano ancora particolarmente diffuse.
Per capirci, era un'epoca in cui i bambini alle elementari ricevevano ancora sane e vigorose bacchettate sulle gambe e sulle mani (ho frequentato le scuole delle suore Betlemite di cui ho un ricordo meraviglioso nonostante la disciplina piuttosto rigida) e la posizione più tenuta in classe era la c.d. "delle mani in quarta", che consisteva nel costringere gli alunni ad incrociare le braccia dietro allo schienale della sedia, per mezz'ore intere.
Oggi, usano imporre questa posizione i migliori fra i rapitori di ostaggi.
Suppongo possa intrigare anche gli amanti della letteratura tipo "cinquanta sfumature di... ". Meglio non occuparsene qui, però.
Del resto mia madre se non studiavo (cioè non redigevo bene le mazzarelle sul quaderno), o se piangevo, urlavo, chiedevo un giocattolo... usava la cucchiarella per segnalarmi con vigore sui polpacci la propria disapprovazione.
Se la cosa diventava seria, ricorreva al celeberrimo "battipanni"; un oggetto davvero singolare, forte ed elastico, capace di lasciare segni brucianti sulla pelle pur senza infliggere danni seri.
All'epoca i telefonini erano ancora nella fantasia degli scrittori di fantascienza, ed a nessuno di noi veniva in mente che potesse esisterne uno azzurro cui rivolgersi per essere protetti dai maltrattamenti.
In realtà questi comportamenti non erano affatto considerati disdicevoli, ma anzi venivano lodati come manifestazioni di cura e di affetto genitoriale.
Il motto comune era "mazza e panella fanno i figli belli".
Perciò, il mio ruolo era quello di subire senza tante storie e di far tesoro dell'"educazione" impartita. Altre scelte non erano ipotizzabili.
Mio padre, poi, era un tipo tosto. Forse a causa dei suoi trascorsi come graduato nei carristi, concepiva la formazione di un figlio più o meno come quella di una recluta della Wermacht.
Ed ha continuato ad applicare quelle regole fino al momento in cui ha terminato la sua esperienza terrena.
Un uomo formidabile, credetemi. Un padre formidabile. Ma... tosto.
Soleva ripetermi instancabilmente che in casa sua era lui al comando e non erano previste deroghe. Finchè fossi rimasto "ospite", non avrei avuto alcuna voce in capitolo. Così era e così doveva rimanere.
Finchè sei martello, batti: ma se sei incudine, statti.
Appunto.
Mia madre ha sempre lavorato. Era insegnante, di quelle dedite alla "missione", amatissima dai propri alunni.
Quindi in famiglia le problematiche relative alla parità dei sessi, ed alla suddivisione delle competenze, per me non sono mai esistite, visto che semplicemente non si ponevano.
Entrambi i miei genitori erano lungamente fuori casa, le entrate non erano mai superiori alle uscite, bisognava collaborare tutti, in tutto.
Senza divisioni di genere. E senza coccole per l'unico figlio.
In effetti una certa prevalenza c'era. Mio padre esercitava una autorevolezza "maschile", che non è mai stata messa in discussione.
Devo dire che gli veniva attribuita fondamentalmente per merito; come dicevo prima, era davvero un uomo formidabile. Capace di amministrare tutto con oculatezza. Sapeva prevedere rischi e problemi, e sapeva suggerire le soluzioni giuste. Quindi la sua autorità era essenzialmente morale, e sicura.
Anche in questo, c'era, con tutta evidenza, un martello battente, e.. due incudini.
Vogliamo parlare della scuola?
Quella che ho vissuto io era ancora, largamente, di tipo tradizionale.
E' vero che il periodo del liceo è stato alquanto... come dire... "democratico".
Ci si occupava molto di più delle assemblee di istituto che non di Leopardi, e si dibatteva intensamente sul diritto al "sei politico".
Ma era più forma che sostanza. Il professore era ancora una figura da temere e se tornavi a casa con una "nota" disciplinare... beh, le conseguenze erano serie, sia fra le mura domestiche che sulla pagella.
I genitori davano per principio ragione agli insegnanti. Se si riceveva un richiamo, prima te le davano, e poi ti chiedevano il perché. Andava così...
Quando giunsi all'università, mi trovai accodato all'ultima ondata di iscritti obbligata ai programmi "tradizionali" (c.d. "statutari"), con docenti che, fermamente e concretamente, manifestavano il proprio dissenso alle richieste "post sessantottine" delle associazioni studentesche.
Anzi, in qualche modo c'era addirittura una sorta di "mini restaurazione" metodologica.
Risultato? Al mio corso di studi si iscrissero in più di 2000: se ne laurearono a stento 400.
Incudine, anche lì.
Una volta conseguita la laurea, venne fuori il problema del cosa fare.
Mio padre mi voleva impiegato in banca.
Io invece, chissà perchè, mi innamorai della professione forense, imponendola.
Forse la prima vera ribellione al volere di mio padre, che infatti non me l'ha mai perdonata.
Così, fui mandato a "fare pratica".
Le raccomandazioni impartitemi furono:
1) non opporti a nessuna richiesta del dominus,
2) renditi indispensabile, presente oltre tutti gli orari e pronto a qualunque lavoro,
3) non intervenire se non sei interrogato, sta al tuo posto ed osserva tutto, per farne tesoro. Nessuno ha l'obbligo di insegnarti niente, sei tu che devi apprendere.
4) Per l'amor di Dio, non permetterti di chiedere soldi. Il tuo valore al momento è pari a zero e se ti si accetta nello studio devi solo ringraziare. In fondo, sei stato ammesso ad un fior di corso di formazione professionale ... ed è già tanto che nessuno ti chieda di pagarlo.
Capirete che l'idea di stare al mio posto senza parlare o ribellarmi era stata ormai ben impressa nel mio animo, perciò non la trovai tanto strana o disdicevole.
Mi limitai semplicemente a continuare a fare ciò che avevo sempre fatto, ovviamente coltivando nel mio intimo la determinazione e la ferma volontà di creare il mio futuro nel momento in cui ne avessi avuto finalmente la forza.
Ad un certo punto, quel momento venne.
Finalmente, il mio lungo e severo "addestramento" alla vita era terminato.
Aprii il mio studio, arredato secondo i miei gusti, e cominciai a lavorare secondo il metodo che avevo maturato negli anni di praticantato.
Già da tempo vivevo da solo, nella casa lasciatami dai miei... dove avevo potuto definire le mie regole, le mie abitudini, le mie piccole manie.
Ero finalmente martello.
Eh.
Non saprei dire in effetti quanto questa illusione sia durata.
Direi poco. Davvero poco.
Nel frattempo che mi preparavo a diventare il dominatore del mondo, quest'ultimo era cambiato profondamente. Ed io non me n'ero accorto.
Sposandomi, ed avendo una figlia (una meravigliosa figlia), feci presto a scoprire che mia moglie non mi riconosceva alcuna autorevolezza, ma anzi rivendicava la propria con forza e... "per principio"; spesso, dichiarandosi anche sgomenta del fatto che io osassi "non essere d'accordo con lei". Sic!
Scoprii inoltre che i figli ormai non erano più assoggettabili ad alcun tipo di disciplina, ma che anzi eravamo noi genitori ad essere sempre sotto processo, sempre guardati a vista e severamente giudicati da telefoni colorati, docenti montessoriani e pedagoghi d'assalto.
Ora, eravamo noi a doverci inventare "il mestiere", obbligati ad essere sempre pronti ad anticipare, giustificare, comprendere e lenire qualunque bizza filiale, o qualunque loro necessità, ribellione, intemperanza.
E sul lavoro? Beh, sul lavoro... i praticanti avevano conquistato il diritto di chiedere uno stipendio fin dal primo giorno, pur se totalmente inesperti e disinteressati, rifiutando qualunque mansione che non fosse quella di trattare pratiche legali di primo livello.
Tutto giusto. Non lo nego. Tutto giusto, per carità...
Eppure, nel fondo della mia anima, un piccolo rimpianto per non avere avuto l'occasione di essere martello... non dico assai... giusto un pochino... c'era.
Insomma, ognuno di noi sogna almeno una volta nella vita di poter sbattere i pugni sulla scrivania urlando "si fa come ho detto io"!!
Dai... almeno una volta!!!
E invece... ho dovuto affinare le mie capacità di comprensione, costringendomi alla saggezza ed alla tolleranza d'un guru indiano per puro istinto di sopravvivenza, riconoscendo ad altri diritti (sacrosanti!!) che io, però, non avevo mai avuto.
Chissà, forse questo mi ha reso migliore... o magari ha solo aggravato le condizioni del mio fegato.
Il colmo però è arrivato qualche mese fa, quando una cliente mi ha proposto di assumere la sua difesa in sostituzione di una precedente collega.
Alla mia domanda sui motivi della scelta, lei, un po' imbarazzata, mi fa: "beh avvocato, mi ero rivolta ad una avvocata perché si sa, le donne nelle questioni di famiglia sono le migliori...".
Riuscite ad immaginare la mia espressione?
Cavolo! Non solo non sono mai riuscito ad essere martello, dovendo adattarmi a rimanere incudine tutta la vita... ora mi tocca anche subire una discriminazione di genere nella professione che tanto ho amato e che ho esercitato con passione, dedizione e (consentitemelo) ottimi risultati per oltre trent'anni?!?
Probabilmente tutte le lettrici che hanno avuto la pazienza di seguirmi fin qui staranno pensando: "ahhh, vedi come brucia l'essere discriminate non per le tue capacità ma per il fatto di essere nate di un sesso piuttosto che di un'altro?", sorridendo soddisfatte e finalmente vendicate.
Non posso che concordare. Oggettivamente, non è piacevole. Ed è anche un tantinello stupido.
Perciò, visto come stanno le cose, temo che dovrò ancora una volta farmene una ragione.
Quindi, lasciatemelo dire: di mestiere faccio l'incudine e... le avvocate, so' megli'e Pelè!!!
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P.S. Giusto per cronaca: la cliente ora si dichiara soddisfatta delle mie prestazioni professionali. Forse, sono riuscito a dimostrarle che anche noi uomini, se ben motivati, valiamo almeno quanto le nostre colleghe. Ma che fatica...!
P.P.S. Sapete? Alla fine ho deciso che essere incudine non è affatto male. Si diventa tosti, solidi, affidabili.
Di martelli, ne spezzi molti... mentre l'incudine resta lì e forgia magnifiche spade.
E comunque, se una incudine si incazza... sono guai!!!
No, non è male essere incudine.